L’articolo mette in luce, a fronte dei crescenti conflitti per l’utilizzo delle risorse idriche, in presenza di sempre più frequenti crisi idriche, i dilemmi simbolici, economici, etici dell’acqua. I conflitti per l’acqua non sono infatti interpretabili in chiave unicamente economica, ma anche simbolica, nel senso che sottendono uno scontro paradigmatico tra due culture: quella che vede l’acqua come qualcosa di sacro, la cui equa distribuzione rappresenta un dovere per preservare la vita e quella che la considera come merce e ritiene il suo possesso e commercio come due fondamentali diritti d’impresa. L’articolo analizza le principali ragioni della attuale crisi idrica presente in molti paesi (disuguaglianze nella ripartizione naturale delle risorse idriche, sperperi nei prelievi e nella gestione delle risorse idriche disponibili, aggravamento dei fenomeni di inquinamento, degradazione del suolo per disboscamento selvaggio, attività mineraria non ecosostenibile, diffondersi di monocolture agricole e forestali, costruzione di grandi dighe, crescita demografica soprattutto nei paesi del Terzo Mondo, crescente urbanizzazione delle megalopoli, interessi di natura politica alla base di mire egemoniche sull’acqua e di strategie geopolitiche di tipo nazionalista) e le strategie di intervento per risolvere la crisi dell’acqua che possono agire sul versante dell’offerta (cercando di aumentare, tramite la realizzazione di infrastrutture, la fruibilità delle risorse idriche e la loro produttività) e/o sul versante della domanda (razionalizzando gli usi e governando i conflitti tra domande in concorrenza tra loro per impieghi dell’acqua alternativi). Rispetto a quest’ultimo versante si vuole da più parti (sia istituzionali che scientifiche) risolvere il problema della scarsità dell’acqua con il ricorso al mercato ed ai suoi meccanismi di funzionamento (i prezzi). Questa soluzione non è però consigliabile perché si basa sul considerare l’acqua come un qualsiasi altro bene economico privato, sull’assumere il prezzo come il meccanismo di regolazione che dovrebbe condurre alla sua conservazione, sul presupporre che l’acqua possa avere dei beni sostituti, sull’ipotesi del perfetto funzionamento del mercato dell’acqua. In realtà nel caso dell’acqua non siamo in presenza di un bene privato, ma di un bene a proprietà comune che, tra l’altro, è particolare rispetto anche ad altri beni pubblici (è, come l’aria, fonte di vita per tutte le specie, anche future, e non è sostituibile da altri beni). In questo senso si ammanta di un connotato di massima meritorietà che ne accresce la necessità di salvaguardiabilità, esigenza che potrebbe invece sfuggire alla sovranità del consumatore ed agli automatismi dei meccanismi di mercato. Il carattere di insostituibilità dell’acqua crea poi un problema aggiuntivo all’assumere il prezzo come meccanismo in grado di gestire con efficienza il problema della sua penuria. Il prezzo è infatti l’indicatore/regolatore ottimale della scarsità tra beni che sono tra loro sostituibili, nonché l’espressione della libertà di scelta del consumatore. Fare ricorso all’acqua non è però una questione di libera scelta, ma piuttosto di necessità per poter sopravvivere. Si tratta poi di una scelta obbligata, tanto più che non vi sono alternative all’acqua. L’introduzione del prezzo rischia di non rendere l’acqua accessibile a tutti. L’accessibilità dell’acqua diventa infatti funzione delle differenti solvibilità degli utenti (“ability to pay”), che sono in competizione tra loro, quando dovrebbe essere invece un diritto politico, economico, sociale fondamentale, sia individuale che collettivo, che non dovrebbe essere commercializzato. L’impostazione basata sul paradigma del mercato non prende dunque in considerazione né i limiti ecologici imposti dalle caratteristiche e dal ciclo dell’acqua (ovvero la sua indispensabilità per la vita, la sua insostituibilità ed il rispetto dei tempi di rinnovabilità naturale della risorsa idrica per evitare la sua esauribilità) né quelli economici dettatati dalla povertà. L’altro assunto su cui poggia la soluzione del ricorso al mercato è il presupposto del suo perfetto funzionamento. In realtà sul mercato dell’acqua pende un vistoso fallimento: quello che discende dal manifestarsi, dal lato dell’offerta, di situazioni di monopolio naturale. Si è inoltre in presenza di un mercato non contendibile. L’articolo evidenzia tutte le criticità della privatizzazione dell'acqua, ma mostra al contempo anche le problematicità sottese alla gestione pubblica dell’acqua (fallimenti dello stato) o alla regolamentazione pubblica dell'acqua (fallimenti del contratto di concessione), anche se quest'ultima via è comunque da preferire rispetto alla privatizzazione ed alla gestione pubblica. La gestione dell’acqua in chiave di sussidiarietà, laddove praticabile tramite sistemi idro-sociali, purchè sussistano le necessarie condizioni, viene consigliata nell’articolo data la sua maggiore democraticità, ecologicità ed efficienza, come Elinor Ostrom ha dimostrato anche per altre tipologie di beni comuni. La risoluzione dei conflitti dell’acqua reclama anche un’ “etica globale dell’acqua” volta al perseguimento del “bene comune”, ovvero all’obiettivo di condividere e gestire l’acqua, anche se scarsa, nell’interesse generale di tutte le parti in causa, abbandonando logiche corporative, nazionaliste, non solidali, non sostenibili. La dimensione “globale” dell’etica, connotata dai principi di non appropriabilità e di reciprocità e da diversi doveri che vengono illustrati nell'articolo, è dovuta al fatto che l’acqua è un bene planetario ed è anche un bene "comune".

I dilemmi economici, etici, simbolici dell'acqua

MONTESI, Cristina
2007

Abstract

L’articolo mette in luce, a fronte dei crescenti conflitti per l’utilizzo delle risorse idriche, in presenza di sempre più frequenti crisi idriche, i dilemmi simbolici, economici, etici dell’acqua. I conflitti per l’acqua non sono infatti interpretabili in chiave unicamente economica, ma anche simbolica, nel senso che sottendono uno scontro paradigmatico tra due culture: quella che vede l’acqua come qualcosa di sacro, la cui equa distribuzione rappresenta un dovere per preservare la vita e quella che la considera come merce e ritiene il suo possesso e commercio come due fondamentali diritti d’impresa. L’articolo analizza le principali ragioni della attuale crisi idrica presente in molti paesi (disuguaglianze nella ripartizione naturale delle risorse idriche, sperperi nei prelievi e nella gestione delle risorse idriche disponibili, aggravamento dei fenomeni di inquinamento, degradazione del suolo per disboscamento selvaggio, attività mineraria non ecosostenibile, diffondersi di monocolture agricole e forestali, costruzione di grandi dighe, crescita demografica soprattutto nei paesi del Terzo Mondo, crescente urbanizzazione delle megalopoli, interessi di natura politica alla base di mire egemoniche sull’acqua e di strategie geopolitiche di tipo nazionalista) e le strategie di intervento per risolvere la crisi dell’acqua che possono agire sul versante dell’offerta (cercando di aumentare, tramite la realizzazione di infrastrutture, la fruibilità delle risorse idriche e la loro produttività) e/o sul versante della domanda (razionalizzando gli usi e governando i conflitti tra domande in concorrenza tra loro per impieghi dell’acqua alternativi). Rispetto a quest’ultimo versante si vuole da più parti (sia istituzionali che scientifiche) risolvere il problema della scarsità dell’acqua con il ricorso al mercato ed ai suoi meccanismi di funzionamento (i prezzi). Questa soluzione non è però consigliabile perché si basa sul considerare l’acqua come un qualsiasi altro bene economico privato, sull’assumere il prezzo come il meccanismo di regolazione che dovrebbe condurre alla sua conservazione, sul presupporre che l’acqua possa avere dei beni sostituti, sull’ipotesi del perfetto funzionamento del mercato dell’acqua. In realtà nel caso dell’acqua non siamo in presenza di un bene privato, ma di un bene a proprietà comune che, tra l’altro, è particolare rispetto anche ad altri beni pubblici (è, come l’aria, fonte di vita per tutte le specie, anche future, e non è sostituibile da altri beni). In questo senso si ammanta di un connotato di massima meritorietà che ne accresce la necessità di salvaguardiabilità, esigenza che potrebbe invece sfuggire alla sovranità del consumatore ed agli automatismi dei meccanismi di mercato. Il carattere di insostituibilità dell’acqua crea poi un problema aggiuntivo all’assumere il prezzo come meccanismo in grado di gestire con efficienza il problema della sua penuria. Il prezzo è infatti l’indicatore/regolatore ottimale della scarsità tra beni che sono tra loro sostituibili, nonché l’espressione della libertà di scelta del consumatore. Fare ricorso all’acqua non è però una questione di libera scelta, ma piuttosto di necessità per poter sopravvivere. Si tratta poi di una scelta obbligata, tanto più che non vi sono alternative all’acqua. L’introduzione del prezzo rischia di non rendere l’acqua accessibile a tutti. L’accessibilità dell’acqua diventa infatti funzione delle differenti solvibilità degli utenti (“ability to pay”), che sono in competizione tra loro, quando dovrebbe essere invece un diritto politico, economico, sociale fondamentale, sia individuale che collettivo, che non dovrebbe essere commercializzato. L’impostazione basata sul paradigma del mercato non prende dunque in considerazione né i limiti ecologici imposti dalle caratteristiche e dal ciclo dell’acqua (ovvero la sua indispensabilità per la vita, la sua insostituibilità ed il rispetto dei tempi di rinnovabilità naturale della risorsa idrica per evitare la sua esauribilità) né quelli economici dettatati dalla povertà. L’altro assunto su cui poggia la soluzione del ricorso al mercato è il presupposto del suo perfetto funzionamento. In realtà sul mercato dell’acqua pende un vistoso fallimento: quello che discende dal manifestarsi, dal lato dell’offerta, di situazioni di monopolio naturale. Si è inoltre in presenza di un mercato non contendibile. L’articolo evidenzia tutte le criticità della privatizzazione dell'acqua, ma mostra al contempo anche le problematicità sottese alla gestione pubblica dell’acqua (fallimenti dello stato) o alla regolamentazione pubblica dell'acqua (fallimenti del contratto di concessione), anche se quest'ultima via è comunque da preferire rispetto alla privatizzazione ed alla gestione pubblica. La gestione dell’acqua in chiave di sussidiarietà, laddove praticabile tramite sistemi idro-sociali, purchè sussistano le necessarie condizioni, viene consigliata nell’articolo data la sua maggiore democraticità, ecologicità ed efficienza, come Elinor Ostrom ha dimostrato anche per altre tipologie di beni comuni. La risoluzione dei conflitti dell’acqua reclama anche un’ “etica globale dell’acqua” volta al perseguimento del “bene comune”, ovvero all’obiettivo di condividere e gestire l’acqua, anche se scarsa, nell’interesse generale di tutte le parti in causa, abbandonando logiche corporative, nazionaliste, non solidali, non sostenibili. La dimensione “globale” dell’etica, connotata dai principi di non appropriabilità e di reciprocità e da diversi doveri che vengono illustrati nell'articolo, è dovuta al fatto che l’acqua è un bene planetario ed è anche un bene "comune".
2007
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