L’articolo analizza il fenomeno del riscaldamento globale nelle sue diverse sfaccettature (ambientali, economiche, sociali, psicologiche, politiche, culturali, etiche) che, per poter essere correttamente conosciuto, compreso, governato, ha bisogno della collaborazione di tante scienze (naturali, sociali, umane) e di un modo di pensare “sistemico” rispetto al quale la scienza economica tradizionale per il suo monismo, riduzionismo, individualismo si trova in particolare difficoltà epistemologica. La scienza economica neoclassica ha dapprima avuto problemi definitori nel categorizzare i “beni comuni globali” come il clima, è inadeguata nell’interpretare semplicisticamente la crisi climatica in chiave di fallimenti microeconomici del mercato correlati ad essa (esternalità negative, tragedia dei beni comuni), non può offrire valide soluzioni al problema per i suoi assunti di base (il paradigma antropologico dell’homo oeconomicus e la razionalità strumentale). Tuttavia nuovi filoni di pensiero economico, come l’Economia Civile, rileggono in chiave relazionale la crisi climatica con conseguenti implicazioni in termini di policy. L’articolo prende in esame la definizione scientifica del riscaldamento globale; le sue caratteristiche distintive rispetto ad altre crisi climatiche del passato; le cause; gli effetti di breve e lungo periodo; i “segni vitali” che possono più facilmente più facilmente essere colti nel quotidiano dalle persone comuni e non solo dagli scienziati; le politiche di mitigazione, di adattamento e di altra natura che possono essere messe in campo, in modo equilibrato ed integrato, per contrastarlo. Un approfondimento viene dedicato agli aspetti morali del riscaldamento climatico ed alle disuguaglianze che esso produce, a cui si può mettere riparo con il ricorso ad una “giustizia climatica” che abbraccia diverse sfere (giuridica, politica, economica, sociale, etica) e che deve avere i seguenti connotati: deve essere senza frontiere, intra-generazionale, inter-generazionale, inter-specie, di genere. Se deve soddisfare queste caratteristiche la giustizia climatica richiede l’integrazione di diverse teorie della giustizia (distributiva, processuale, correttiva) e la contaminazione di diverse etiche (etica delle responsabilità, etica della cura, etica delle virtù, etica della Terra). L’articolo sviluppa una riflessione critica sui principi guida di una giustizia climatica (polluter pays principle, beneficiary pays principle, ability to pay principle) che, stante i limiti rinvenibili in ciascuno di essi, dovrebbero essere integrati. Una sintesi delle diverse prospettive correlate ai tre principi guida è stata di fatto realizzata attraverso l’introduzione del principio delle “responsabilità comuni, ma differenziate” tra paesi, rinforzato dal principio delle “rispettive capacità”, nella Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) dell’Earth Summit di Rio del 1992, la cui applicazione, come dimostrato dall’articolo, si è dinamicamente evoluta nel passaggio dal Protocollo di Kyoto all’Accordo di Parigi.
Disuguaglianze climatiche ed idea di giustizia climatica: principi, problemi, praticabilità
Montesi Cristina
2021
Abstract
L’articolo analizza il fenomeno del riscaldamento globale nelle sue diverse sfaccettature (ambientali, economiche, sociali, psicologiche, politiche, culturali, etiche) che, per poter essere correttamente conosciuto, compreso, governato, ha bisogno della collaborazione di tante scienze (naturali, sociali, umane) e di un modo di pensare “sistemico” rispetto al quale la scienza economica tradizionale per il suo monismo, riduzionismo, individualismo si trova in particolare difficoltà epistemologica. La scienza economica neoclassica ha dapprima avuto problemi definitori nel categorizzare i “beni comuni globali” come il clima, è inadeguata nell’interpretare semplicisticamente la crisi climatica in chiave di fallimenti microeconomici del mercato correlati ad essa (esternalità negative, tragedia dei beni comuni), non può offrire valide soluzioni al problema per i suoi assunti di base (il paradigma antropologico dell’homo oeconomicus e la razionalità strumentale). Tuttavia nuovi filoni di pensiero economico, come l’Economia Civile, rileggono in chiave relazionale la crisi climatica con conseguenti implicazioni in termini di policy. L’articolo prende in esame la definizione scientifica del riscaldamento globale; le sue caratteristiche distintive rispetto ad altre crisi climatiche del passato; le cause; gli effetti di breve e lungo periodo; i “segni vitali” che possono più facilmente più facilmente essere colti nel quotidiano dalle persone comuni e non solo dagli scienziati; le politiche di mitigazione, di adattamento e di altra natura che possono essere messe in campo, in modo equilibrato ed integrato, per contrastarlo. Un approfondimento viene dedicato agli aspetti morali del riscaldamento climatico ed alle disuguaglianze che esso produce, a cui si può mettere riparo con il ricorso ad una “giustizia climatica” che abbraccia diverse sfere (giuridica, politica, economica, sociale, etica) e che deve avere i seguenti connotati: deve essere senza frontiere, intra-generazionale, inter-generazionale, inter-specie, di genere. Se deve soddisfare queste caratteristiche la giustizia climatica richiede l’integrazione di diverse teorie della giustizia (distributiva, processuale, correttiva) e la contaminazione di diverse etiche (etica delle responsabilità, etica della cura, etica delle virtù, etica della Terra). L’articolo sviluppa una riflessione critica sui principi guida di una giustizia climatica (polluter pays principle, beneficiary pays principle, ability to pay principle) che, stante i limiti rinvenibili in ciascuno di essi, dovrebbero essere integrati. Una sintesi delle diverse prospettive correlate ai tre principi guida è stata di fatto realizzata attraverso l’introduzione del principio delle “responsabilità comuni, ma differenziate” tra paesi, rinforzato dal principio delle “rispettive capacità”, nella Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) dell’Earth Summit di Rio del 1992, la cui applicazione, come dimostrato dall’articolo, si è dinamicamente evoluta nel passaggio dal Protocollo di Kyoto all’Accordo di Parigi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.