Il contributo intende riprendere e analizzare il ruolo assegnato a Pietro Perugino nelle due edizioni delle Vite di Giorgio Vasari soprattutto nel rapporto con la critica successiva di Giovan Battista Armenini e Federico Zuccari. Vasari, oltre a scandirne la formazione in ambito fiorentino, presso il Verrocchio, e l’itinerario artistico complessivo, commenta le opere della prima attività dell’artista secondo i parametri della ‘infinita diligenza’ nel dipingere figure e paesi e della straordinaria capacità di ‘ritrarre di naturale’, di adoperare accorgimenti prospettici sofisticati e colori vivissimi soprattutto nella pittura a fresco. Vasari è anche colui che ne coglie, nella produzione tarda, l’involuzione e l’iterazione di formule stereotipe («era talmente la dottrina dell’arte sua ridotta a maniera, ch’e ‘faceva a tutte le figure un’aria medesima»), fino al giudizio attribuito a Michelangelo che lo bolla come ‘goffo nell’arte’. Ma Vasari è anche il primo a rilevarne il ruolo di artista cerniera con una ‘maniera quasi moderna’ e la sua abilità nel creare una scuola. Questi giudizi saranno in parte ripresi da Giovan Battista Armenini ne De ’veri precetti della pittura (1587) che, facendo sua la visione vasariana dell’arte soggetta a sviluppi cronologici, sintetizzandola tuttavia in un solo secolo, lo colloca fra gli ‘antichi pittori’ che vanno da Giotto fino al Vannucci stesso, e da Federico Zuccari, che, nel Lamento della pittura (1605), accomuna i due ‘ingeni pellegrini’ di Mantegna e del Perugino «ch’a l’arte vera, e perfetta fur molto vicini».
«A l’arte vera e perfetta fu molto vicino»: Pietro Perugino in Vasari, Armenini e Zuccari
Cristina Galassi
2024
Abstract
Il contributo intende riprendere e analizzare il ruolo assegnato a Pietro Perugino nelle due edizioni delle Vite di Giorgio Vasari soprattutto nel rapporto con la critica successiva di Giovan Battista Armenini e Federico Zuccari. Vasari, oltre a scandirne la formazione in ambito fiorentino, presso il Verrocchio, e l’itinerario artistico complessivo, commenta le opere della prima attività dell’artista secondo i parametri della ‘infinita diligenza’ nel dipingere figure e paesi e della straordinaria capacità di ‘ritrarre di naturale’, di adoperare accorgimenti prospettici sofisticati e colori vivissimi soprattutto nella pittura a fresco. Vasari è anche colui che ne coglie, nella produzione tarda, l’involuzione e l’iterazione di formule stereotipe («era talmente la dottrina dell’arte sua ridotta a maniera, ch’e ‘faceva a tutte le figure un’aria medesima»), fino al giudizio attribuito a Michelangelo che lo bolla come ‘goffo nell’arte’. Ma Vasari è anche il primo a rilevarne il ruolo di artista cerniera con una ‘maniera quasi moderna’ e la sua abilità nel creare una scuola. Questi giudizi saranno in parte ripresi da Giovan Battista Armenini ne De ’veri precetti della pittura (1587) che, facendo sua la visione vasariana dell’arte soggetta a sviluppi cronologici, sintetizzandola tuttavia in un solo secolo, lo colloca fra gli ‘antichi pittori’ che vanno da Giotto fino al Vannucci stesso, e da Federico Zuccari, che, nel Lamento della pittura (1605), accomuna i due ‘ingeni pellegrini’ di Mantegna e del Perugino «ch’a l’arte vera, e perfetta fur molto vicini».I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.