Il contributo intende porre l’attenzione sulla “trans-formazione” in senso ampio, considerando due accezioni del verbo che, nell’ambito specifico delle nostre discipline, interagiscono: se riferito al progetto di architettura, l’atto del “dare forma” comporta un passaggio di stato, una condizione di modificazione dell’esistente, che implica, però, un mantenimento della “sostanza” di partenza; se riferito alle persone che si confrontano con il progetto, “formare” significa “condurre ad una maturità di forma” intellettuale, che si avvale del progetto di architettura non solo come oggetto della formazione, ma anche come strumento e, al contempo, medium. La riflessione qui proposta nasce da alcune constatazioni, scaturite dalle esperienze di confronto con diverse categorie di cittadini, e in particolare con gli studenti di architettura. Sempre più spesso, quando si affrontano i modi del progetto, o semplicemente viene descritto un progetto, difficilmente si riesce a rompere i confini dello slogan e del pensiero unico. Il timore nei confronti della critica del reale si traduce nel timore di trasformare la realtà, o di pretendere di trasformarla, o ancor peggio nell’incapacità di leggerla. Questa deriva del pensiero riflette, forse, la nostra società e il nostro modo di stare al mondo. Nell’educazione architettonica, il progetto dovrebbe porsi come oggetto di trasmissione di valori, cioè di significati validi nel tempo. Questa grande potenzialità del progetto rimane inespressa in quell’architettura che privilegia la forma come esito predeterminato. Il progetto, nella sua capacità di sintesi, può invece farsi portatore di significati trasmissibili e duraturi.
Contro lo slogan, per la poesia
Eliana Martinelli
2025
Abstract
Il contributo intende porre l’attenzione sulla “trans-formazione” in senso ampio, considerando due accezioni del verbo che, nell’ambito specifico delle nostre discipline, interagiscono: se riferito al progetto di architettura, l’atto del “dare forma” comporta un passaggio di stato, una condizione di modificazione dell’esistente, che implica, però, un mantenimento della “sostanza” di partenza; se riferito alle persone che si confrontano con il progetto, “formare” significa “condurre ad una maturità di forma” intellettuale, che si avvale del progetto di architettura non solo come oggetto della formazione, ma anche come strumento e, al contempo, medium. La riflessione qui proposta nasce da alcune constatazioni, scaturite dalle esperienze di confronto con diverse categorie di cittadini, e in particolare con gli studenti di architettura. Sempre più spesso, quando si affrontano i modi del progetto, o semplicemente viene descritto un progetto, difficilmente si riesce a rompere i confini dello slogan e del pensiero unico. Il timore nei confronti della critica del reale si traduce nel timore di trasformare la realtà, o di pretendere di trasformarla, o ancor peggio nell’incapacità di leggerla. Questa deriva del pensiero riflette, forse, la nostra società e il nostro modo di stare al mondo. Nell’educazione architettonica, il progetto dovrebbe porsi come oggetto di trasmissione di valori, cioè di significati validi nel tempo. Questa grande potenzialità del progetto rimane inespressa in quell’architettura che privilegia la forma come esito predeterminato. Il progetto, nella sua capacità di sintesi, può invece farsi portatore di significati trasmissibili e duraturi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


