Gli aspetti cui si fa riferimento nella relazione sono i principali ambienti lacustri e palustri dell’Umbria e territori limitrofi. Sono state indagate le caratteristiche della vegetazione acquatica e palustre dei laghi Trasimeno, Piediluco, Alviano, Ventina, Chiusi, Posta Fibreno e dei fiumi e torrenti Tevere, Nera, Velino, Assino, Chiani, corrispondenti a dati in parte inediti ed in parte già pubblicati (Venanzoni e Gigante, 2000). Sono stati inoltre presi in considerazione per confronto, solo per tipologie vegetazionali la cui interpretazione è apparsa particolarmente complessa, alcuni aspetti relativi a corpi d’acqua marchigiani (Biondi e Baldoni, 1993; Biondi e Vagge, 1997) e laziali (Menghini, 1974; Scoppola, 1997). Dal punto di vista bioclimatico i territori indagati sono in massima parte compresi nel Macrobioclima Temperato Oceanico, Piano bioclimatico collinare (inclusa la Var. Submediterranea), fatta eccezione per gli habitat palustri e torbosi dei piani carsici dell’Appennino umbro-marchigiano che rientrano nel Piano bioclimatico Montano. Anche dal punto di vista biogeografico l’Italia centrale costituisce un’ampia fascia di transizione tra le Regioni Eurosiberiana e Mediterranea. Questo fenomeno è all’origine di numerose situazioni floristiche e vegetazionali contrastanti che si esprimono anche a livello delle comunità lacustri e palustri. Contrariamente all’idea generale di “azonalità” dei syntaxa lacustri e palustri, infatti, l’inquadramento bioclimatico e biogeografico di questi territori svolge un ruolo chiave nell’interpretazione ecologica e sintassonomica delle corrispondenti particolarità vegetazionali. Sono stati evidenziati i rapporti spesso problematici con le unità sintassonomiche descritte in letteratura. Spesso infatti è possibile solo un’attribuzione approssimata a tipi di vegetazione già conosciuti per l’Europa centrale, mentre non altrettanto spesso avviene l’individuazione di comunità vegetali endemiche/autonome rispetto a quelli, tipiche di questa situazione corologica ed ecologica transizionale. Molto importante è la combinazione floristica delle cenosi che può permettere di evidenziare questo gradiente ecologico e geografico. Vengono di seguito indicati alcuni aspetti particolarmente interessanti. La presenza dell’alleanza Magnocaricion appare abbastanza intatta nei piani carsici appenninici e molto più frammentata ed antropizzata nelle stazioni di pianura e collina. In questi contesti territoriali sono abbastanza frequenti gli aspetti di collegamento con i prati di transizione ed in generale con gli aspetti di vegetazione inondata solo periodicamente, rappresentati dalle associazioni Cyperetum longi e Cypero longi-Caricetum otrubae, ultime propaggini dell’alleanza Magnocaricion. In contesti territoriali submediterranei si verifica il contatto con la vegetazione dei giuncheti con optimum mediterraneo riferibili all’ordine Holoschoenetalia Br.-Bl. ex Tchou 1948, che si sviluppano su suoli profondi e umidi, compattati in inverno-primavera, soggetti però a disseccamento estivo almeno nell’orizzonte superiore. Questo contatto avviene in modo graduale, dando origine alla compresenza di specie differenziali ad ecologia piuttosto diversificata. Alcuni aspetti di transizione verso quest’ordine mediterraneo sono rappresentati dalle associazioni Equiseto palustris-Juncetum effusi Minissale et Spampinato 1990 e Galio palustris-Juncetum inflexi Venanzoni et Gigante 2000. Altrettanto interessante è il contatto con la vegetazione delle torbiere neutro-basifile riferibile all’ordine Caricetalia davallianae Br.-Bl. 1949, che per ragioni climatiche non trovano nelle stazioni di collina umbre un habitat idoneo. Il cambiamento climatico rispetto all’Europa media determina infatti la scomparsa di qualsiasi processo di torbificazione (raro solo nelle alte montagn dell’Appennino); inoltre la compressione degli habitat che si verifica nel territorio, in relazione al disseccamento estivo dei suoli, è all’origine di uno spostamento floristico verso l’ordine mediterraneo Holoschoenetalia. Le specie caratteristiche dell’ordine Caricetalia davallianae, sporadicamente presenti, assumono così il ruolo di differenziali e conferiscono alle cenosi indagate un’autonomia floristica abbastanza evidente. Questo fenomeno si verifica soprattutto nella vegetazione a dominanza di Juncus subnodulosus, riferita all’alleanza Molinio-Holoschoenion, e in quella a dominanza di Typha minima, recentemente inquadrata nell’associazione Mentho aquaticae-Typhetum minimae Venanzoni et Gigante 2000 ed inquadrata nell’alleanza Magnocaricion. La vegetazione a dominanza di Molinia arundinacea è forse quella che meglio rappresenta la compenetrazione floristica fra i mondi Eurosiberiano e Mediterraneo; sono proprio le caratteristiche climatiche del territorio infatti che determinano una commistione tra specie di Holoschoenetalia e specie di Molinion coeruleae, a scapito nettamente di quest’ultima. Il confronto con la letteratura esistente ci ha indotto ad utilizzare, per l’inquadramento di queste cenosi, l’associazione Molinietum arundinaceae Trinajstic 1965 prov., includendola nell’alleanza Molinio-Holoschoenion come già suggerito da alcuni Autori. L’associazione non è valida, essendo pubblicata con nome provvisorio, e necessita quindi di emendamento. L’alleanza Calthion non è presente nei territori di collina, mentre sono stati osservati frammenti di vegetazione a megaforbie “nitrofile naturali” riferibili all’alleanza Filipendulion ulmariae. In particolare sono in corso di studio due aggruppamenti: uno a dominanza di Angelica sylvestris e Cirsium creticum subsp. triumfettii, vicariante meridionale di Cirsium palustre, ed uno a dominanza di Epilobium hirsutum. La presenza dei prati di transizione, al momento riferiti all’alleanza Agropyro-Rumicion crispi, poco indagati per queste zone, è ampiamente confermata con le associazioni Dactylido-Festucetum arundinaceae e Cirsio triumfettii-Galegetum officinalis. L’attribuzione a livello di alleanza è per ora provvisoria, in attesa di una revisione di queste tipologie vegetazionali per l’Italia centrale che consenta di definire un’unità sintassonomica appropriata. Da rilevare infine una generale riduzione di diversità nelle comunità più cosmopolite rappresentate dalla vegetazione di idrofite radicanti e flottanti, riferibili alle classi Potametea e Lemnetea. Sulla base delle prime esperienze di studio di questo tipo di vegetazione, è emerso che tutt’ora i principali laghi dell’Italia centrale mancano di monografie esaustive, fatta eccezione per i contributi floristici relativi ai Laghi di Nepi, Bracciano, Albano e Nemi, Dal punto di vista metodologico va rilevato che tutti gli ambienti umidi dell’Italia centrale (tranne rarissime eccezioni) si trovano in condizioni di forte antropizzazione o in territori estremamente limitati. Questo si ripercuote sulla fase di rilevamento, limitando l’esecuzione dei rilievi a superfici dell’ordine di poche unità di metri quadrati. Per essere interpretati questi habitat necessitano quindi di un’attenzione maggiore, evitando di cedere all’erronea convinzione che un’eccessiva antropizzazione impedisce di risalire alla vegetazione naturale.

Aspetti di interesse fitosociologico della vegetazione palustre ed acquatica in Umbria e territori contermini.

GIGANTE, Daniela;VENANZONI, Roberto
2002

Abstract

Gli aspetti cui si fa riferimento nella relazione sono i principali ambienti lacustri e palustri dell’Umbria e territori limitrofi. Sono state indagate le caratteristiche della vegetazione acquatica e palustre dei laghi Trasimeno, Piediluco, Alviano, Ventina, Chiusi, Posta Fibreno e dei fiumi e torrenti Tevere, Nera, Velino, Assino, Chiani, corrispondenti a dati in parte inediti ed in parte già pubblicati (Venanzoni e Gigante, 2000). Sono stati inoltre presi in considerazione per confronto, solo per tipologie vegetazionali la cui interpretazione è apparsa particolarmente complessa, alcuni aspetti relativi a corpi d’acqua marchigiani (Biondi e Baldoni, 1993; Biondi e Vagge, 1997) e laziali (Menghini, 1974; Scoppola, 1997). Dal punto di vista bioclimatico i territori indagati sono in massima parte compresi nel Macrobioclima Temperato Oceanico, Piano bioclimatico collinare (inclusa la Var. Submediterranea), fatta eccezione per gli habitat palustri e torbosi dei piani carsici dell’Appennino umbro-marchigiano che rientrano nel Piano bioclimatico Montano. Anche dal punto di vista biogeografico l’Italia centrale costituisce un’ampia fascia di transizione tra le Regioni Eurosiberiana e Mediterranea. Questo fenomeno è all’origine di numerose situazioni floristiche e vegetazionali contrastanti che si esprimono anche a livello delle comunità lacustri e palustri. Contrariamente all’idea generale di “azonalità” dei syntaxa lacustri e palustri, infatti, l’inquadramento bioclimatico e biogeografico di questi territori svolge un ruolo chiave nell’interpretazione ecologica e sintassonomica delle corrispondenti particolarità vegetazionali. Sono stati evidenziati i rapporti spesso problematici con le unità sintassonomiche descritte in letteratura. Spesso infatti è possibile solo un’attribuzione approssimata a tipi di vegetazione già conosciuti per l’Europa centrale, mentre non altrettanto spesso avviene l’individuazione di comunità vegetali endemiche/autonome rispetto a quelli, tipiche di questa situazione corologica ed ecologica transizionale. Molto importante è la combinazione floristica delle cenosi che può permettere di evidenziare questo gradiente ecologico e geografico. Vengono di seguito indicati alcuni aspetti particolarmente interessanti. La presenza dell’alleanza Magnocaricion appare abbastanza intatta nei piani carsici appenninici e molto più frammentata ed antropizzata nelle stazioni di pianura e collina. In questi contesti territoriali sono abbastanza frequenti gli aspetti di collegamento con i prati di transizione ed in generale con gli aspetti di vegetazione inondata solo periodicamente, rappresentati dalle associazioni Cyperetum longi e Cypero longi-Caricetum otrubae, ultime propaggini dell’alleanza Magnocaricion. In contesti territoriali submediterranei si verifica il contatto con la vegetazione dei giuncheti con optimum mediterraneo riferibili all’ordine Holoschoenetalia Br.-Bl. ex Tchou 1948, che si sviluppano su suoli profondi e umidi, compattati in inverno-primavera, soggetti però a disseccamento estivo almeno nell’orizzonte superiore. Questo contatto avviene in modo graduale, dando origine alla compresenza di specie differenziali ad ecologia piuttosto diversificata. Alcuni aspetti di transizione verso quest’ordine mediterraneo sono rappresentati dalle associazioni Equiseto palustris-Juncetum effusi Minissale et Spampinato 1990 e Galio palustris-Juncetum inflexi Venanzoni et Gigante 2000. Altrettanto interessante è il contatto con la vegetazione delle torbiere neutro-basifile riferibile all’ordine Caricetalia davallianae Br.-Bl. 1949, che per ragioni climatiche non trovano nelle stazioni di collina umbre un habitat idoneo. Il cambiamento climatico rispetto all’Europa media determina infatti la scomparsa di qualsiasi processo di torbificazione (raro solo nelle alte montagn dell’Appennino); inoltre la compressione degli habitat che si verifica nel territorio, in relazione al disseccamento estivo dei suoli, è all’origine di uno spostamento floristico verso l’ordine mediterraneo Holoschoenetalia. Le specie caratteristiche dell’ordine Caricetalia davallianae, sporadicamente presenti, assumono così il ruolo di differenziali e conferiscono alle cenosi indagate un’autonomia floristica abbastanza evidente. Questo fenomeno si verifica soprattutto nella vegetazione a dominanza di Juncus subnodulosus, riferita all’alleanza Molinio-Holoschoenion, e in quella a dominanza di Typha minima, recentemente inquadrata nell’associazione Mentho aquaticae-Typhetum minimae Venanzoni et Gigante 2000 ed inquadrata nell’alleanza Magnocaricion. La vegetazione a dominanza di Molinia arundinacea è forse quella che meglio rappresenta la compenetrazione floristica fra i mondi Eurosiberiano e Mediterraneo; sono proprio le caratteristiche climatiche del territorio infatti che determinano una commistione tra specie di Holoschoenetalia e specie di Molinion coeruleae, a scapito nettamente di quest’ultima. Il confronto con la letteratura esistente ci ha indotto ad utilizzare, per l’inquadramento di queste cenosi, l’associazione Molinietum arundinaceae Trinajstic 1965 prov., includendola nell’alleanza Molinio-Holoschoenion come già suggerito da alcuni Autori. L’associazione non è valida, essendo pubblicata con nome provvisorio, e necessita quindi di emendamento. L’alleanza Calthion non è presente nei territori di collina, mentre sono stati osservati frammenti di vegetazione a megaforbie “nitrofile naturali” riferibili all’alleanza Filipendulion ulmariae. In particolare sono in corso di studio due aggruppamenti: uno a dominanza di Angelica sylvestris e Cirsium creticum subsp. triumfettii, vicariante meridionale di Cirsium palustre, ed uno a dominanza di Epilobium hirsutum. La presenza dei prati di transizione, al momento riferiti all’alleanza Agropyro-Rumicion crispi, poco indagati per queste zone, è ampiamente confermata con le associazioni Dactylido-Festucetum arundinaceae e Cirsio triumfettii-Galegetum officinalis. L’attribuzione a livello di alleanza è per ora provvisoria, in attesa di una revisione di queste tipologie vegetazionali per l’Italia centrale che consenta di definire un’unità sintassonomica appropriata. Da rilevare infine una generale riduzione di diversità nelle comunità più cosmopolite rappresentate dalla vegetazione di idrofite radicanti e flottanti, riferibili alle classi Potametea e Lemnetea. Sulla base delle prime esperienze di studio di questo tipo di vegetazione, è emerso che tutt’ora i principali laghi dell’Italia centrale mancano di monografie esaustive, fatta eccezione per i contributi floristici relativi ai Laghi di Nepi, Bracciano, Albano e Nemi, Dal punto di vista metodologico va rilevato che tutti gli ambienti umidi dell’Italia centrale (tranne rarissime eccezioni) si trovano in condizioni di forte antropizzazione o in territori estremamente limitati. Questo si ripercuote sulla fase di rilevamento, limitando l’esecuzione dei rilievi a superfici dell’ordine di poche unità di metri quadrati. Per essere interpretati questi habitat necessitano quindi di un’attenzione maggiore, evitando di cedere all’erronea convinzione che un’eccessiva antropizzazione impedisce di risalire alla vegetazione naturale.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/167135
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