Il saggio mette in luce gli elementi di differenziazione della attuale crisi economica dalle altre del passato (che possono riassumersi nel suo carattere globale, sistemico, strutturale) ed analizza le cause finanziarie, reali, culturali più remote e più recenti. La crisi economica deve essere interpretata in chiave multidimensionale, ovvero in termini finanziari, monetari, economici, culturali. Essa è stata dovuta in campo finanziario a fallimenti del mercato (dovuti ad incertezza, asimmetrie informative, incompletezza dei contratti, opportunismo, ingegnerizzazione finanziaria ipertrofica) ed a fallimenti dello Stato (deregolamentazioni del mercato finanziario). In campo monetario a politiche monetarie espansive che hanno incentivato un troppo facile indebitamento privato. Sul versante dell’economia reale da uno squilibrio del rapporto tra economia reale e finanza, da un eccesso di consumi privati, da squilibri nella distribuzione del reddito che sono stati fonte di indebitamento privato oltremodo rischioso, da squilibri cronici nelle bilance dei pagamenti, dalla obsolescenza della ondata di innovazioni radicali degli anni Novanta. In ambito culturale dal paradigma egoistico ed individualistico dell’homo oeconomicus, dall’assolutizzazione da parte della teoria economica neoclassica delle capacità di funzionamento del mercato, dal riduzionismo delle tecniche matematiche di valutazioni dei rischi finanziari, dalla modificazione antropologico-culturale dovuta alla globalizzazione. Questa interpretazione più sfaccettata della crisi esige l’adozione di rimedi sui molteplici fronti chiamati in causa, ma soprattutto un radicale cambiamento del modello di sviluppo, a cui lo Stato, se si interpreta il suo ruolo in modo più aperto e generoso che non come semplice taumaturgo o guardiano dell’economia, e la società civile con le sue virtù morali e cooperative indispensabili al bene comune, possono concorrere in modo strategico. Le peculiari caratteristiche della attuale crisi reclamano infatti un intervento dello Stato in campo economico in chiave "proattiva", ovvero come guida ed agente, attraverso la "programmazione" economica, del cambiamento strutturale del modello di sviluppo, e non semplicemente residuale (come rimedio ai fallimenti del mercato o come salvatore, in extremis, dell’economia). Lo Stato "programmatore" a fianco dunque dello Stato legislatore, dello Stato produttore, dello Stato allocatore, dello Stato redistributore, dello Stato stabilizzatore, dello Stato regolatore. Il saggio vuole però rimarcare l’importanza che anche altre istituzioni, in aggiunta allo Stato nel suo rinnovato ruolo di "programmatore", possono pariteticamente giocare nella spiegazione della crisi e nel suo superamento: le virtù civili acquisibili dagli individui in varie modalità ed il capitale sociale, inteso come insieme di relazioni sociali fiduciarie che non solo precedono il mercato e creano per tale motivo un’atmosfera favorevole agli scambi, ma anche scongiurano i fallimenti dello stesso dovuti ad opportunismo, asimmetrie informative, incompletezza contrattuale. Queste relazioni si costruiscono e si rafforzano tramite il dono relazionale, quello effettuato all’insegna della reciprocità, che è un paradigma tipicamente femminile, anche se una lettura di genere della crisi non è ancora stata sufficientemente tematizzata dagli studiosi. Pertanto tre sono i principi di regolazione dell’economia che vanno considerati (reciprocità, scambio di mercato, coazione/redistribuzione), a cui corrispondono rispettivamente tre diversi attori sulla scena economica: società civile, mercato, Stato (in incastri storicamente variabili, ma possibilmente non troppo squilibrati nei rapporti tra le parti ed i cui rapporti dovrebbero essere ispirati al rispetto del principio di sussidiarietà orizzontale). Alla pluralità di principi di regolazione, dovrebbero anche corrispondere una pluralità di forme dell’economia (privata, pubblica, civile), una pluralità di forme di impresa (privata, pubblica, pubblica partecipata da privati, cooperativa, non profit), una pluralità di forme di beni (privati, pubblici, relazionali, comuni). Ultimato il difficile compito di far capire l'importanza della pluralità istituzionale al tempo della crisi, il saggio si conclude con l’esame delle proposte di politica economica avanzate da alcuni studiosi di varia estrazione disciplinare contenute nel volume Pennacchi L. (2010) (a cura di), "Pubblico, privato, comune", edizione Ediesse, Roma, per il superamento della stessa.

Pubblico, privato, comune. Lezioni dalla crisi mondiale.

MONTESI, Cristina
2010

Abstract

Il saggio mette in luce gli elementi di differenziazione della attuale crisi economica dalle altre del passato (che possono riassumersi nel suo carattere globale, sistemico, strutturale) ed analizza le cause finanziarie, reali, culturali più remote e più recenti. La crisi economica deve essere interpretata in chiave multidimensionale, ovvero in termini finanziari, monetari, economici, culturali. Essa è stata dovuta in campo finanziario a fallimenti del mercato (dovuti ad incertezza, asimmetrie informative, incompletezza dei contratti, opportunismo, ingegnerizzazione finanziaria ipertrofica) ed a fallimenti dello Stato (deregolamentazioni del mercato finanziario). In campo monetario a politiche monetarie espansive che hanno incentivato un troppo facile indebitamento privato. Sul versante dell’economia reale da uno squilibrio del rapporto tra economia reale e finanza, da un eccesso di consumi privati, da squilibri nella distribuzione del reddito che sono stati fonte di indebitamento privato oltremodo rischioso, da squilibri cronici nelle bilance dei pagamenti, dalla obsolescenza della ondata di innovazioni radicali degli anni Novanta. In ambito culturale dal paradigma egoistico ed individualistico dell’homo oeconomicus, dall’assolutizzazione da parte della teoria economica neoclassica delle capacità di funzionamento del mercato, dal riduzionismo delle tecniche matematiche di valutazioni dei rischi finanziari, dalla modificazione antropologico-culturale dovuta alla globalizzazione. Questa interpretazione più sfaccettata della crisi esige l’adozione di rimedi sui molteplici fronti chiamati in causa, ma soprattutto un radicale cambiamento del modello di sviluppo, a cui lo Stato, se si interpreta il suo ruolo in modo più aperto e generoso che non come semplice taumaturgo o guardiano dell’economia, e la società civile con le sue virtù morali e cooperative indispensabili al bene comune, possono concorrere in modo strategico. Le peculiari caratteristiche della attuale crisi reclamano infatti un intervento dello Stato in campo economico in chiave "proattiva", ovvero come guida ed agente, attraverso la "programmazione" economica, del cambiamento strutturale del modello di sviluppo, e non semplicemente residuale (come rimedio ai fallimenti del mercato o come salvatore, in extremis, dell’economia). Lo Stato "programmatore" a fianco dunque dello Stato legislatore, dello Stato produttore, dello Stato allocatore, dello Stato redistributore, dello Stato stabilizzatore, dello Stato regolatore. Il saggio vuole però rimarcare l’importanza che anche altre istituzioni, in aggiunta allo Stato nel suo rinnovato ruolo di "programmatore", possono pariteticamente giocare nella spiegazione della crisi e nel suo superamento: le virtù civili acquisibili dagli individui in varie modalità ed il capitale sociale, inteso come insieme di relazioni sociali fiduciarie che non solo precedono il mercato e creano per tale motivo un’atmosfera favorevole agli scambi, ma anche scongiurano i fallimenti dello stesso dovuti ad opportunismo, asimmetrie informative, incompletezza contrattuale. Queste relazioni si costruiscono e si rafforzano tramite il dono relazionale, quello effettuato all’insegna della reciprocità, che è un paradigma tipicamente femminile, anche se una lettura di genere della crisi non è ancora stata sufficientemente tematizzata dagli studiosi. Pertanto tre sono i principi di regolazione dell’economia che vanno considerati (reciprocità, scambio di mercato, coazione/redistribuzione), a cui corrispondono rispettivamente tre diversi attori sulla scena economica: società civile, mercato, Stato (in incastri storicamente variabili, ma possibilmente non troppo squilibrati nei rapporti tra le parti ed i cui rapporti dovrebbero essere ispirati al rispetto del principio di sussidiarietà orizzontale). Alla pluralità di principi di regolazione, dovrebbero anche corrispondere una pluralità di forme dell’economia (privata, pubblica, civile), una pluralità di forme di impresa (privata, pubblica, pubblica partecipata da privati, cooperativa, non profit), una pluralità di forme di beni (privati, pubblici, relazionali, comuni). Ultimato il difficile compito di far capire l'importanza della pluralità istituzionale al tempo della crisi, il saggio si conclude con l’esame delle proposte di politica economica avanzate da alcuni studiosi di varia estrazione disciplinare contenute nel volume Pennacchi L. (2010) (a cura di), "Pubblico, privato, comune", edizione Ediesse, Roma, per il superamento della stessa.
2010
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/172569
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