Oggetto della relazione sono le principali modalità con cui il pensiero occidentale ha concepito la natura e quali sono state le conseguenze di tali concezioni. Sia il pensiero bipolare (ovvero quello che percepisce la realtà scissa in modo dicotomico tra natura e cultura), sia il pensiero gerarchico che ordina tutto il mondo lungo i gradini di una piramide che procede dalla natura all’Uomo, hanno autorizzato, per motivi diversi, lo sfruttamento della natura. Il pensiero bipolare per averla concepita come qualcosa di inerte, statico, disanimato, il pensiero gerarchico per averla considerata inferiore all’Uomo (antropocentrismo). In queste due cornici interpretative le donne hanno seguito lo stesso destino di sfruttamento della natura a cui sono state, non a caso, assimilate in entrambi i casi (nel pensiero bipolare perché schiacciate, per motivi biologici, sul polo svalorizzato della natura; nel pensiero gerarchico perché equiparate agli animali e quindi considerate analogamente come esseri inferiori). Questo dominio gemello del genere maschile sulla natura e sulle donne è stato frutto dell’androcentrismo della cultura patriarcale occidentale che, da un certo punto in poi della Storia, ha soppiantato il culto originario della Dea madre, in cui il rapporto del genere umano con la natura era invece di natura armonica. Tracce di questa visione relazionale della natura si rinvengono in alcuni autori della classicità, nelle opere degli alchimisti rinascimentali, nel pensiero filosofico di alcune donne del Seicento e nell’eco-femminismo, nella cultura degli Indiani del Nord America, nella teoria di Gaia di James Lovelock, in alcune scienze (ecologia, etologia, biologia, economia civile) e teorie moderne (teoria della complessità, teoria dei sistemi). Le donne non hanno soltanto contribuito, con i loro paradigmi (relazionalità e dono), a rendere più “empatiche” le scienze, ma possono ispirare anche un modo diverso di rapportarsi con la natura attraverso l’“etica della cura”, anch’essa tipicamente femminile, che può uscire dalla sfera privata della socialità primaria per essere declinata, in senso ecologico, nella sfera pubblica e del “comune”. L’etica della cura, partendo dalla piena consapevolezza dei legami di interdipendenza tra gli esseri umani, può estendere questa coscienza dell’interconnessione ai rapporti tra gli esseri umani e la natura, fin tanto da sollecitare l’assunzione di atteggiamenti responsabili ed amorevoli verso entrambi, all’insegna del bene comune. L’ambiente naturale ed il bene comune sono infatti accumunati dal fatto di enfatizzare entrambi l’importanza delle relazioni e della interdipendenza, si differenziano invece perché il bene comune, a differenza di quanto teorizzato dalla deep ecology, non immola il benessere di un singolo componente per il bene del sistema che lo racchiude e lo sovrasta (in questo quadro l’individuo soccombe per la sopravvivenza della specie). Questa visione olistica, elaborata dalla deep ecology, viene criticata dall’eco-femminismo che invoca il paradigma della relazione madre/figli, all’insegna dell’etica della cura, come esempio di relazione equilibrata, ovvero attenta al bene di tutti e di ciascuno, quale criterio guida dei rapporti sociali e socio-ecologici. Quindi essendo il punto di vista femminile particolarmente etico ed ecologico, esso dovrebbe essere valorizzato, oltrechè sul piano sociale ed ecologico, anche a livello macro, meso e micro economico. A livello microeconomico la differenza di genere dovrebbe trovare cittadinanza specialmente nell’impresa civile, un’impresa che, è orientata al bene comune (pur avendo il profitto come vincolo da rispettare per il suo operare) e quindi all’affermazione di due soggetti (uomini e donne), oltrechè alla libera espressione al suo interno di altre diversità. L’impresa civile risponde infatti ad una responsabilità civile, che va ben oltre la responsabilità sociale di impresa, il mercantilismo, il paternalismo, la filantropia di impresa. La differenza di genere, per i suoi particolari risvolti etici ed ecologici, dovrebbe dunque improntare anche la gestione d’impresa. Ecco perché in azienda il diversity management, gli strumenti di gestione etica ed ambientale aziendale, gli strumenti di welfare aziendali tesi alla conciliazione famiglia-lavoro andrebbero tutti coniugati insieme, rinforzandosi vicendevolmente per una maggior sostenibilità d’impresa (che non preveda separazione tra sfera economica, sociale, ambientale). Questa strategia congiunta dovrebbe anche aumentare la competitività dell’impresa avendo molte ricerche dimostrato i benefici effetti del diversity management, delle politiche di conciliazione famiglia-lavoro, delle politiche volontarie ambientali sulla profittabilità dell’impresa e sulla felicità, salute e benessere dei dipendenti, oltrechè sul loro bisogno di riconoscimento e di identità. Se poi si passa dal piano micro al piano meso economico, la concertazione di tutte queste politiche potrebbe passare dal livello di impresa a quello territoriale (nella forma degli accordi volontari, dell’Emas territoriale, delle politiche di conciliazione famiglia-lavoro su scala maggiore rispetto al corporate welfare). Le nuove politiche ambientali concertate tra pubblico e privato (gli accordi volontari) andrebbero adottate, congiuntamente a quelle, sempre concertate tra i medesimi attori, di sviluppo locale (nella fattispecie “verde” dei patti territoriali o di altri strumenti sempre basati sulla negoziazione) per le loro affinità elettive che consistono nella comune ecologicità e nel fatto di essere entrambe politiche di bene comune, di cui rispettano i requisiti: attenzione multidimensionale alla singola persona; relazionalità, integrazione, condivisione degli obiettivi, concertazione tra i policy makers; sussidiarietà (orizzontale, verticale, relazionale); razionalità relazionale; regolazione improntata in primis al paradigma della reciprocità; possibile coesistenza di differenti principi di regolazione; produzione di beni relazionali; possibile coesistenza tra differenti etiche (etica delle intenzioni, etica della responsabilità, etica della cura, etica delle virtù). Questo sinergico intreccio potrebbe avere effetti moltiplicativi sulla produttività, competitività ed ecologicità dei sistemi locali.

Differenza di genere, ambiente e bene comune, nel'impresa civile e nel territorio

MONTESI, Cristina
2011

Abstract

Oggetto della relazione sono le principali modalità con cui il pensiero occidentale ha concepito la natura e quali sono state le conseguenze di tali concezioni. Sia il pensiero bipolare (ovvero quello che percepisce la realtà scissa in modo dicotomico tra natura e cultura), sia il pensiero gerarchico che ordina tutto il mondo lungo i gradini di una piramide che procede dalla natura all’Uomo, hanno autorizzato, per motivi diversi, lo sfruttamento della natura. Il pensiero bipolare per averla concepita come qualcosa di inerte, statico, disanimato, il pensiero gerarchico per averla considerata inferiore all’Uomo (antropocentrismo). In queste due cornici interpretative le donne hanno seguito lo stesso destino di sfruttamento della natura a cui sono state, non a caso, assimilate in entrambi i casi (nel pensiero bipolare perché schiacciate, per motivi biologici, sul polo svalorizzato della natura; nel pensiero gerarchico perché equiparate agli animali e quindi considerate analogamente come esseri inferiori). Questo dominio gemello del genere maschile sulla natura e sulle donne è stato frutto dell’androcentrismo della cultura patriarcale occidentale che, da un certo punto in poi della Storia, ha soppiantato il culto originario della Dea madre, in cui il rapporto del genere umano con la natura era invece di natura armonica. Tracce di questa visione relazionale della natura si rinvengono in alcuni autori della classicità, nelle opere degli alchimisti rinascimentali, nel pensiero filosofico di alcune donne del Seicento e nell’eco-femminismo, nella cultura degli Indiani del Nord America, nella teoria di Gaia di James Lovelock, in alcune scienze (ecologia, etologia, biologia, economia civile) e teorie moderne (teoria della complessità, teoria dei sistemi). Le donne non hanno soltanto contribuito, con i loro paradigmi (relazionalità e dono), a rendere più “empatiche” le scienze, ma possono ispirare anche un modo diverso di rapportarsi con la natura attraverso l’“etica della cura”, anch’essa tipicamente femminile, che può uscire dalla sfera privata della socialità primaria per essere declinata, in senso ecologico, nella sfera pubblica e del “comune”. L’etica della cura, partendo dalla piena consapevolezza dei legami di interdipendenza tra gli esseri umani, può estendere questa coscienza dell’interconnessione ai rapporti tra gli esseri umani e la natura, fin tanto da sollecitare l’assunzione di atteggiamenti responsabili ed amorevoli verso entrambi, all’insegna del bene comune. L’ambiente naturale ed il bene comune sono infatti accumunati dal fatto di enfatizzare entrambi l’importanza delle relazioni e della interdipendenza, si differenziano invece perché il bene comune, a differenza di quanto teorizzato dalla deep ecology, non immola il benessere di un singolo componente per il bene del sistema che lo racchiude e lo sovrasta (in questo quadro l’individuo soccombe per la sopravvivenza della specie). Questa visione olistica, elaborata dalla deep ecology, viene criticata dall’eco-femminismo che invoca il paradigma della relazione madre/figli, all’insegna dell’etica della cura, come esempio di relazione equilibrata, ovvero attenta al bene di tutti e di ciascuno, quale criterio guida dei rapporti sociali e socio-ecologici. Quindi essendo il punto di vista femminile particolarmente etico ed ecologico, esso dovrebbe essere valorizzato, oltrechè sul piano sociale ed ecologico, anche a livello macro, meso e micro economico. A livello microeconomico la differenza di genere dovrebbe trovare cittadinanza specialmente nell’impresa civile, un’impresa che, è orientata al bene comune (pur avendo il profitto come vincolo da rispettare per il suo operare) e quindi all’affermazione di due soggetti (uomini e donne), oltrechè alla libera espressione al suo interno di altre diversità. L’impresa civile risponde infatti ad una responsabilità civile, che va ben oltre la responsabilità sociale di impresa, il mercantilismo, il paternalismo, la filantropia di impresa. La differenza di genere, per i suoi particolari risvolti etici ed ecologici, dovrebbe dunque improntare anche la gestione d’impresa. Ecco perché in azienda il diversity management, gli strumenti di gestione etica ed ambientale aziendale, gli strumenti di welfare aziendali tesi alla conciliazione famiglia-lavoro andrebbero tutti coniugati insieme, rinforzandosi vicendevolmente per una maggior sostenibilità d’impresa (che non preveda separazione tra sfera economica, sociale, ambientale). Questa strategia congiunta dovrebbe anche aumentare la competitività dell’impresa avendo molte ricerche dimostrato i benefici effetti del diversity management, delle politiche di conciliazione famiglia-lavoro, delle politiche volontarie ambientali sulla profittabilità dell’impresa e sulla felicità, salute e benessere dei dipendenti, oltrechè sul loro bisogno di riconoscimento e di identità. Se poi si passa dal piano micro al piano meso economico, la concertazione di tutte queste politiche potrebbe passare dal livello di impresa a quello territoriale (nella forma degli accordi volontari, dell’Emas territoriale, delle politiche di conciliazione famiglia-lavoro su scala maggiore rispetto al corporate welfare). Le nuove politiche ambientali concertate tra pubblico e privato (gli accordi volontari) andrebbero adottate, congiuntamente a quelle, sempre concertate tra i medesimi attori, di sviluppo locale (nella fattispecie “verde” dei patti territoriali o di altri strumenti sempre basati sulla negoziazione) per le loro affinità elettive che consistono nella comune ecologicità e nel fatto di essere entrambe politiche di bene comune, di cui rispettano i requisiti: attenzione multidimensionale alla singola persona; relazionalità, integrazione, condivisione degli obiettivi, concertazione tra i policy makers; sussidiarietà (orizzontale, verticale, relazionale); razionalità relazionale; regolazione improntata in primis al paradigma della reciprocità; possibile coesistenza di differenti principi di regolazione; produzione di beni relazionali; possibile coesistenza tra differenti etiche (etica delle intenzioni, etica della responsabilità, etica della cura, etica delle virtù). Questo sinergico intreccio potrebbe avere effetti moltiplicativi sulla produttività, competitività ed ecologicità dei sistemi locali.
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