Tra i quesiti del diacono cartaginese Ferrando a cui Fulgenzio risponde nell’ Ep. 14, l’ultimo è una richiesta di chiarimento sul passo di Luca che, narrando l’ultima Cena di Gesù, menziona due volte il calice, a differenza degli altri sinottici che lo citano una sola volta. Fulgenzio replica in modo ampio e articolato. In primo luogo presenta - senza però citarne le fonti - le varie interpretazioni di cui è al corrente: si possono individuare almeno quelle di Agostino (un unico calice, retoricamente menzionato due volte 'per anticipationem') e di Gerolamo (due calici distinti: con il primo Gesù celebrò la Pasqua ebraica, figura del suo sacrificio, con il secondo la nuova Pasqua, sacramento del suo corpo e del suo sangue; i due calici sono inoltre collegati al precetto delle due Pasque, quella dei santi e quella dei penitenti, presente in Nm 9, 10-11). F. si pronunzia a favore di due calici e, soprattutto, di una lettura figurata per cui essi indicano i due Testamenti. Prima di approfondire tale lettura, apre un’ampia parentesi per mostrare che, in altri punti della Scrittura, ‘calice’ può essere legittimamente inteso nel senso di 'gratia passionis'. Il concetto di ‘calice della passione’ si identifica con quello di ‘ora della passione’: indizi, nel Signore, sia dell’autenticità dell’umano sentimento di fragilità, sia della natura volontaria della passione. Questi due aspetti della figura di Cristo sono al centro dell’interesse di F.: il primo richiama l’orizzonte della controversia sulla grazia, il secondo quello della polemica con gli Ariani. Particolarmente rilevante, oltre all’Agostino del 'Commento a Giovanni', è il tema della 'sancta ebrietas' dei santi e dei martiri, ripreso da Ambrogio. F. torna quindi a documentare la sua ipotesi. La conferma che i due calici simboleggiano la distinzione dei due Testamenti viene dalle parole differenti con cui il Signore ordina ai discepoli di prendere il primo e il secondo di essi. Solo per il primo calice Gesù dice "Accipite et dividite inter vos" (Lc 22, 17); del secondo invece, dato insieme con il pane, egli non dice che debba “essere diviso”. Questa "verborum quaedam discretio" diventa per F. il punto di partenza di un ricco approfondimento del rapporto tra Vecchio e Nuovo Testamento. 'Dividere' significa saper tralasciare o conservare qualcosa, a seconda della 'congruentia temporis'. Protagonista della 'divisio' è la Chiesa, che distingue “il tempo del Cristo che doveva venire e quello del Cristo che viene”. Nel movimento dell’ 'accipere' e del 'dividere' il valore del VT è salvaguardato: i suoi precetti vengono ‘presi’ e ‘divisi’ secondo una ratio che non li svilisce, giacché la Chiesa li guarda nella loro natura di promesse fatte da Dio e, al tempo stesso, riconosce che Dio ha ormai compiuto quelle promesse. Il secondo calice è invece escluso dal suddetto ordine del Signore. F. vede in questa differenza lo speciale statuto del NT: un tempo in cui non avviene una ‘divisione’ di 'sacramenta', bensì un’elargizione di 'dona', che non rientra nella facoltà degli uomini ma è in potere solo dello Spirito, protagonista dell’economia della 'gratia'. Con argomentazione familiare alla polemica anti-ariana, Fulgenzio proclama la divinità dello Spirito santo e l’unità di operazioni all’interno della Trinità. Non manca infine, riguardo alla presente età dei 'dona', un richiamo di sapore anti-pelagiano: l’uomo non guadagna né merita, ma riceve gratuitamente “la misura della fede che Dio gli ha concesso” (Rm 12, 3). La 'divisio donum' richiama la 'divisio fidei'. Nell’ultima parte, F. approfondisce il valore permanente del VT, che “deve essere preso” come il Signore ordina riguardo al primo calice. Il Vecchio Testamento, nel momento in cui si accoglie il Nuovo, va vagliato ma non rigettato (ricorso all’esegesi agostiniana di Ps 74,9: il mistero spirituale della 'divisio' delle fecce e del vino). Appellandosi a Eccli 9, 14-15 (il nuovo amico non deve condurre ad abbandonare quello vecchio; il vino nuovo si gusta con gioia solo se invecchia), F. indica che tra VT e NT esiste un rapporto di continuità nella diversità. Non si può comprendere appieno la portata risolutiva del NT se non lo si scopre come compimento delle antiche promesse. Ad Emmaus, spiegando le Scritture, Gesù “fece invecchiare il vino nuovo nel cuore dei discepoli”. Il vincolo inscindibile tra i due Testamenti poggia sull’unicità della fede.

I due calici dell’ultima Cena (Lc 22, 17-20) nell’esegesi di Fulgenzio di Ruspe (Ep. 14, 39-47)

DI PILLA, Alessandra
2011

Abstract

Tra i quesiti del diacono cartaginese Ferrando a cui Fulgenzio risponde nell’ Ep. 14, l’ultimo è una richiesta di chiarimento sul passo di Luca che, narrando l’ultima Cena di Gesù, menziona due volte il calice, a differenza degli altri sinottici che lo citano una sola volta. Fulgenzio replica in modo ampio e articolato. In primo luogo presenta - senza però citarne le fonti - le varie interpretazioni di cui è al corrente: si possono individuare almeno quelle di Agostino (un unico calice, retoricamente menzionato due volte 'per anticipationem') e di Gerolamo (due calici distinti: con il primo Gesù celebrò la Pasqua ebraica, figura del suo sacrificio, con il secondo la nuova Pasqua, sacramento del suo corpo e del suo sangue; i due calici sono inoltre collegati al precetto delle due Pasque, quella dei santi e quella dei penitenti, presente in Nm 9, 10-11). F. si pronunzia a favore di due calici e, soprattutto, di una lettura figurata per cui essi indicano i due Testamenti. Prima di approfondire tale lettura, apre un’ampia parentesi per mostrare che, in altri punti della Scrittura, ‘calice’ può essere legittimamente inteso nel senso di 'gratia passionis'. Il concetto di ‘calice della passione’ si identifica con quello di ‘ora della passione’: indizi, nel Signore, sia dell’autenticità dell’umano sentimento di fragilità, sia della natura volontaria della passione. Questi due aspetti della figura di Cristo sono al centro dell’interesse di F.: il primo richiama l’orizzonte della controversia sulla grazia, il secondo quello della polemica con gli Ariani. Particolarmente rilevante, oltre all’Agostino del 'Commento a Giovanni', è il tema della 'sancta ebrietas' dei santi e dei martiri, ripreso da Ambrogio. F. torna quindi a documentare la sua ipotesi. La conferma che i due calici simboleggiano la distinzione dei due Testamenti viene dalle parole differenti con cui il Signore ordina ai discepoli di prendere il primo e il secondo di essi. Solo per il primo calice Gesù dice "Accipite et dividite inter vos" (Lc 22, 17); del secondo invece, dato insieme con il pane, egli non dice che debba “essere diviso”. Questa "verborum quaedam discretio" diventa per F. il punto di partenza di un ricco approfondimento del rapporto tra Vecchio e Nuovo Testamento. 'Dividere' significa saper tralasciare o conservare qualcosa, a seconda della 'congruentia temporis'. Protagonista della 'divisio' è la Chiesa, che distingue “il tempo del Cristo che doveva venire e quello del Cristo che viene”. Nel movimento dell’ 'accipere' e del 'dividere' il valore del VT è salvaguardato: i suoi precetti vengono ‘presi’ e ‘divisi’ secondo una ratio che non li svilisce, giacché la Chiesa li guarda nella loro natura di promesse fatte da Dio e, al tempo stesso, riconosce che Dio ha ormai compiuto quelle promesse. Il secondo calice è invece escluso dal suddetto ordine del Signore. F. vede in questa differenza lo speciale statuto del NT: un tempo in cui non avviene una ‘divisione’ di 'sacramenta', bensì un’elargizione di 'dona', che non rientra nella facoltà degli uomini ma è in potere solo dello Spirito, protagonista dell’economia della 'gratia'. Con argomentazione familiare alla polemica anti-ariana, Fulgenzio proclama la divinità dello Spirito santo e l’unità di operazioni all’interno della Trinità. Non manca infine, riguardo alla presente età dei 'dona', un richiamo di sapore anti-pelagiano: l’uomo non guadagna né merita, ma riceve gratuitamente “la misura della fede che Dio gli ha concesso” (Rm 12, 3). La 'divisio donum' richiama la 'divisio fidei'. Nell’ultima parte, F. approfondisce il valore permanente del VT, che “deve essere preso” come il Signore ordina riguardo al primo calice. Il Vecchio Testamento, nel momento in cui si accoglie il Nuovo, va vagliato ma non rigettato (ricorso all’esegesi agostiniana di Ps 74,9: il mistero spirituale della 'divisio' delle fecce e del vino). Appellandosi a Eccli 9, 14-15 (il nuovo amico non deve condurre ad abbandonare quello vecchio; il vino nuovo si gusta con gioia solo se invecchia), F. indica che tra VT e NT esiste un rapporto di continuità nella diversità. Non si può comprendere appieno la portata risolutiva del NT se non lo si scopre come compimento delle antiche promesse. Ad Emmaus, spiegando le Scritture, Gesù “fece invecchiare il vino nuovo nel cuore dei discepoli”. Il vincolo inscindibile tra i due Testamenti poggia sull’unicità della fede.
2011
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