In Umbria, specialmente in area ternana, nella prima metà del XX secolo e in particolare durante il ventennio fascista, vengono realizzati numerosi interventi urbanistici e architettonici per rispondere alla carenza di alloggi destinati alle classi operaie. I primi provvedimenti sono introdotti in epoca giolittiana, ma è il fascismo ad affrontare il problema con rinnovato impegno e, in accordo con le industrie italiane da vita ad una politica che vede nella casa, negli interventi di welfare aziendale e nello sviluppo delle attività dopolavoristiche, uno dei principali strumenti di controllo sociale. La comune chiave di lettura di questi esempi può essere rinvenuta nelle parole di Gustavo Giovannoni, che incitando a studiare bene quanto si fa altrove, ma insieme ad operare con un sentimento italiano, formula un’idea di modernità che recupera materiali, modelli costruttivi e stilemi decorativi dell’architettura locale e pone un’attenzione particolare all’armonia dell’architettura con il paesaggio in cui è inserita: “Dopo aver studiato bene quello che si è fatto altrove, dobbiamo tornare a casa nostra ed operare col nostro bravo sentimento italiano. E le nuove borgate dovranno essere tali da non alterare il carattere dell’ambiente, pur rispondendo a modernità e ad utilità pratica. Abbiano un nucleo di case compatte, pur non troppo alte, che contengano la piazza principale, raccolta e tranquilla come le piazze antiche, al di fuori del movimento di passaggio; poi la fabbricazione venga degradando in intensità verso l’esterno, adattandosi al terreno, creando associazioni di masse, ma non seguendo troppo rigidi sistemi; e se mai, le ispirazioni ne siano tipicamente locali, […] ed in ogni modo la formula del buon senso e del buon gusto dovrebbe essere semplice semplice ma italiano italiano”. (L’urbanistica e la deurbanizzazione, Roma 1936, pp. 17-18)
Semplice semplice ma italiano italiano. La modernità e la questione abitativa in Umbria.
BIANCONI, Fabio;BONCI, ALESSIA
2007
Abstract
In Umbria, specialmente in area ternana, nella prima metà del XX secolo e in particolare durante il ventennio fascista, vengono realizzati numerosi interventi urbanistici e architettonici per rispondere alla carenza di alloggi destinati alle classi operaie. I primi provvedimenti sono introdotti in epoca giolittiana, ma è il fascismo ad affrontare il problema con rinnovato impegno e, in accordo con le industrie italiane da vita ad una politica che vede nella casa, negli interventi di welfare aziendale e nello sviluppo delle attività dopolavoristiche, uno dei principali strumenti di controllo sociale. La comune chiave di lettura di questi esempi può essere rinvenuta nelle parole di Gustavo Giovannoni, che incitando a studiare bene quanto si fa altrove, ma insieme ad operare con un sentimento italiano, formula un’idea di modernità che recupera materiali, modelli costruttivi e stilemi decorativi dell’architettura locale e pone un’attenzione particolare all’armonia dell’architettura con il paesaggio in cui è inserita: “Dopo aver studiato bene quello che si è fatto altrove, dobbiamo tornare a casa nostra ed operare col nostro bravo sentimento italiano. E le nuove borgate dovranno essere tali da non alterare il carattere dell’ambiente, pur rispondendo a modernità e ad utilità pratica. Abbiano un nucleo di case compatte, pur non troppo alte, che contengano la piazza principale, raccolta e tranquilla come le piazze antiche, al di fuori del movimento di passaggio; poi la fabbricazione venga degradando in intensità verso l’esterno, adattandosi al terreno, creando associazioni di masse, ma non seguendo troppo rigidi sistemi; e se mai, le ispirazioni ne siano tipicamente locali, […] ed in ogni modo la formula del buon senso e del buon gusto dovrebbe essere semplice semplice ma italiano italiano”. (L’urbanistica e la deurbanizzazione, Roma 1936, pp. 17-18)I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.